Accademia
L'accadesimo letterario in Liguria Occidentale '600
e '700
INDICE:
1 - L'OPERA DI PROMOTORE E AGITATORE CULTURALE DI DOMENICO ANTONIO
GANDOLFO SECONDO BIBLIOTECARIO DELL'APROSIANA
2 - L'"OLDOINI CORRETTO" UN "TESTO" BASILARE CUSTODITO ALLA
BIBLIOTECA APROSIANA DI VENTIMIGLIA ESSENZIALE PER APPROFONDIRE LA
CONOSCENZA DEI FERMENTI CULTURALI LIGURI OCCIDENTALI
3 - LA BIBLIOTECA APROSIANA ED IL GANDOLFO: LUOGHI DI CONVERGENZA
DEI CONTEMPORANEI LETTERATI LIGURI, PIEMONTESI E DI AREA
FRANCO-PROVENZALE
4 - SCAMBI DI "NATURA ACCADEMICA" NEL PONENTE LIGURE TRA FINE XVII
E PRIMI XVIII SECOLO
5 - IL "GABINETTO SCIENTIFICO ACCADEMICO" DI VENTIMIGLIA
6 - L' "ACCADEMIA DEI VAGABONDI" DI TAGGIA
7 - LA PROGETTATA "ACCADEMIA DEGLI OSCURI" A VENTIMIGLIA
8 - ACCADEMIE LETTERARIE DI MENTONE, MONACO, SOSPELLO
Antonio Francesco Gandolfo nacque a Ventimiglia da
G. B. Gandolfo (var. -i) di Porto Maurizio e dalla genovese Maria
Pelina Olignani il 27/XI/ 1653.
Perse giovanissimo i genitori e passò, morta anche la nonna,
sotto la tutela dello zio Domenico Antonio Cotta Sismondi,
coetaneo, conterraneo e corrispondente dell'Aprosio, già
uditore del nunzio apostolico di Svizzera Lorenzo Gavotti, poi
protonotaro apostolico e quindi, a Ventimiglia, arcidacono
penitenziere del vescovo Promontorio. Insigne giurista il Cotta
Sismondi avvicinò il nipote, contestualmente, a Chiesa e
cultura e, nonostante prediligesse l'ordine dei Minori Conventuali
o dei Minori Osservanti, non fece alcuna opposizione al fatto che
il Gandolfo entrasse a 15 anni nell'ordine degli agostiniani e,
prendendo l'abito nel convento di S. Maria della Consolazione di
Genova, assumesse da religioso il suo nome.
Da svariati segnali informativi sono ricostruibili comunque
già in epoca anteriore al noviziato contatti culturali del
giovanetto, grazie sempre ai servigi del Cotta-Sismondi, con
l'Aprosio e con altri dotti, letterati di un certo nome e semplici
studenti, gravitanti intorno alla "Libraria" ventimigliese:
Giovanni Girolamo Lanteri e Paolo Agostino Orengo in particolare. I
suoi studi fondamentali li svolse però nel convento genovese
e, in un successivo periodo, a Loano sotto la guida di Giuseppe
Giuliano "Bonomo" da Cuneo: probabilmente a quest'epoca (1669/70)
risalgono i suoi primi, autentici incontri con i fermenti
intellettuali ed eruditi degli ambienti di Savona e di Genova e in
questo periodo di formazione sono da individuare le prime
registrazioni critiche su scrittori liguri non segnalati nelle
sillogi del Soprani, del Giustiniani e dell'Oldoini.
Conseguita in Liguria una solida preparazione culturale e
soprattutto scoperta la letteratura ligure coeva (di cui fu a lungo
fedele innamorato) il Gandolfo venne improvvisamente assegnato,
cosa usuale tra i religiosi regolari, al convento della Santissima
Trinità di Viterbo dove "passati due anni fu dichiarato
Maestro di Studio e difese due Cattedre di Teologia, una sotto la
protezione del Signor Principe di Monaco suo benignissimo padrone e
laltra dedicata a Monsignor Nicolò Piccolomini Senese,
allora Secretario dei Memoriali del Sommo Pontefice".
Venne poi, altrettanto improvvisamente, mandato a Parma, presso il
locale convento di Agostiniani, in qualità di "Respondente
di Teologia e Lettore di Filosofia"; qui entrò in contatto
con il ricco ambiente culturale sostenuto dai Farnese e divenne
intimo di Prospero Antonio Rossi, suo intelligente coetaneo,
già corrispondente dell'Aprosio, erudito lettore di "Belle
lettere" a Borgotaro, poi baccelliere e quindi predicatore generale
agostiniano dal 1682 .
Nel corso di questi repentini cambiamenti di sede il Gandolfo
acuì contestualmente il suo patrimonio erudito e le sue
strumentazioni critiche: in particolare si formò la
convinzione che un vasto bagaglio di interlocutori e di informatori
di buona levatura culturale disseminati per l'ltalia fosse sempre
necessario per chi avesse intenzione di produrre operazioni,
più o meno vaste, di analisi letteraria o storica.
Questo concetto era usuale già per l'Aprosio, ma nel
Gandolfo l'idea dei numerosi corrispondenti si caricò
piuttosto di una eminente funzione pragmatica e documentaria: le
encomiastiche smancerie epistolari gli piacevano solo nella misura
in cui fossero il viatico per osservazioni tecniche di provata
credibilità e di indiscussa valenza per i suoi studi.
Ritornò a Ventimiglia dopo un anno, gratificante e pregno di
stimolazioni intellettuali, trascorso nell'area parmense; al
convento agostiniano della città ligure affiancò lo
stanco e vecchio Aprosio che rimase entusiasta della prospettiva di
un discepolo bibliofilo cui potesse affidare e poi lasciare la sua
"Libraria" senza patemi d'animo.
A testimonianza di tutto ciò non casualmente si legge in una
lettera aprosiana del 5 luglio 1678, ad Antonio Magliabechi (B. N.
F., Mss. 141) "...E venuto a stare in questo Convento un nostro
giovane di venticinque anni, non meno goloso di libri di quanto mi
sia io, comprandone giornalmente e tenendomi giornalmente
compagnia. Questi non è di nostro casato e con tutto
ciò è amico dellAprosiana. Questo fa che io
morirà contento lassando uno che è amico de libri a
custodia di essa. Se io viverò per qualche anno non
lasserò distruirlo".
Gandolfo accudì l'Aprosio, con il progredire dell'età
sempre più tormentato dalla malaria anticamente contratta,
come un figlio e gli fu accanto sin al momento della morte,
avvenuta alle ore 23 del 23 febbraio 1681, occupandosi direttamente
delle onoranze funebri.
Apprendiamo direttamente dallo stesso Gandolfo che fu proprio lui a
far predisporre ogni cosa per le onoranze funebri (compresi gli
ancora rari manifesti listati a lutto, sistemati nei luoghi
più frequentati della cittadina): poco dopo come ancora ci
ragguaglia in una sua opera (Fiori poetici doll'eremo agostiniano,
Genova, per il Franchelli, 1682, p.54) preparò anche
l'iscrizione, poi non realizzata, che avrebbe dovuto essere incisa
su una lapide da sistemare sopra la porta d'accesso della
biblioteca: " Hoc opus eximium a fundamentis erexit sua industria
admod. Reverendus Pater Angelicus Aprosius nostrae Congregationis
Vicarius Generalis: vir et in moribus candidus et in doctrina
eruditissimus. Qui apud omnes philologos sui temporis in honore
fuit: cuius nomen immortale permanet, plusquam in libris centum
praelo expressis a se ipso et ab ab aliis. Obiit anno 1681, die 23
Febrauarii, horae 23, aetatis annorum 74. Fr. Domenicus Antonius
Gandolphus ex vero cordis affectu et tanti beneficii memor, cum
esset prior posuit anno supradicto".
Dal marzo 1681 sostituì quindi ufficialmente Angelico
Aprosio nella direzione della biblioteca, contribuendo in maniera
superlativa al suo potenziamento e alla sua funzionalità. Da
questa sede, prestigiosa quanto impegnativa, iniziò un
solido lavoro culturale: in particolare se da un lato seppe
generalmente mantenere le relazioni e le abitudini sociali
dell'Aprosio, conservando alla "Libraria" i contatti con gli
antichi corrispondenti del predecessore, dall'altro si
preoccupò di surrogare celermente gli "amici", per diversi
motivi, irreperibili con nuovi simpatizzanti tra cui, per restare
in ambiente ventimigliese, Gio. Angelo Orengo-Casanata (cugino del
poeta ed erudito Paolo Agostino Orengo) e Gio. Paolo Fenoglio,
medico intimo dell'arcivescovo di Milano Caccia.
Astuto fruitore di biblioteche il Gandolfo era ben consapevole
dell'importanza che, per l'arricchimento o il semplice
aggiornamento di una buona "Libraria", avevano i munifici
sostenitori, gli amici colti e lusingati dalla possibilità
di far eternare nelle sue " scanzie", scaffali od armadi i loro
libri o i tomi che parlassero di loro od almeno li ricordassero,
come benefici donatori, oltre il tempo concesso dalla vita.
In questo procedimento Aprosio fu maestro e Gandolfo buon scolaro.
Entrambi giocarono sull'ansia d'eterno sofferta dai dotti del
tempo: la loro biblioteca stava diventando realmente la "Biblioteca
del tutto", in cui scritti e ricordi, menzioni ed elogi, cosucce e
cosacce venivano riscattate dall'impietoso oblio del tempo che
passa e cancella. E i saggi, le opere, gli appunti continuarono a
pervenire all'Aprosiana: l'affluente di cultura libresca escogitato
dall'Aprosio non cessò quindi di funzionare a pieno
regime.
Ma il Gandolfo si preoccupò, con efficienza, anche d'altro;
aveva gustato spazi intellettuali molto vasti e, pur senza certe
insofferenze manifestate dall'Aprosio, anche lui soffriva il
provincialismo della sua nuova sistemazione.
Cercò o meglio tentò un nuovo respiro culturale nelle
pubblicazioni e finalmente editò a Genova, nel 1682, presso
la stamperia del Franchelli i suoi "Fiori poetici delleremo
agostiniano".
L'operetta (249 pagine) risultò una scelta antologica di
prodotti poetici di agostiniani ma, seppur in modo gregario, si
qualificava pure come esercizio elementare di ermeneutica e di
indagine critica; alienato da sé il logorroico e a volte
vigoroso disordine aprosiano, il Gandolfo dispose organicamente il
materiale poetico e lo fece precedere da un'esaustiva
documentazione bio-bibliografica sui singoli autori: in particolare
la bibliografia sull'Aprosio (pp. 221-49) è sicuramente la
silloge secentesca più documentata e ragionata di quanti
scrissero e dei motivi per i quali scrissero sul predecessore.
Nella rassegna antologica trova posto anche il Gandolfo stesso che,
al pari dell'Aprosio e come poi il terzo bibliotecario Giacomo
Antonio De Lorenzi, ebbe il vezzo di comporre versi e, per un certo
periodo, l'ambizione del poeta; la vena pare scarsa, prevalenti le
tematiche religiose ed encomiastiche, già obsoleta la
strutturazione linguistica e la strumentazione retorica: ben
presto, abbandonata questa prospettiva di lavoro, il Gandolfo
scelse la via, a lui più congeniale, dell'indagine erudita,
cui già in fondo si era accostato coi Fiori Poetici. Della
sua produzione lirica comunque restano 21 madrigali, 10 sonetti, 4
sonetti acrostici, 1 ode acrostica, 2 anagrammi puri, 1 anagramma
con licenza: fra tanto la cosa migliore è forse il sonetto
dall'incipit "Di riso no, di pianto vi coprite" cui, fuori delle
tematiche religiose e della presunta potenzialità catartica,
si riconosce una mesta visione della caducità delle
cose.
E' importante a questo punto esaminare l'atteggiamento del frate
verso Ventimiglia, città onusta di antichità ma
all'epoca bruttina, provinciale ed isolata, certamente scomoda per
il "grande giro culturale" e forse anche calunniata oltre i
"demeriti" e la non facile collocazione geo-politica.
Aprosio come detto vi si adattò, con qualche malcelata
indolenza e tanti confessati rimpianti per Venezia, soprattutto
quando vi riuscì, con successo e soddisfazione, a sistemare
quella sua biblioteca che, viste certe precarie contingenze,
avrebbe anche potuto veder disperdere.
Pure Gandolfo provò dapprima l'angoscia dell'isolamento
intellettuale ma presto, senza acredine e nostalgie, seppe guardare
oltre la frontiera artificiale della "Libraria" e riconoscere quei
fermenti culturali che stavano maturando, specialmente ma non solo
all'ombra dell'Aprosiana stessa.
E seppe ma soprattutto volle, messo da parte l'eroico ma fazioso
autoisolamento del dotto aristocraticamenre pomposo, accettare e
coltivare le potenzialità culturali di Ventimiglia: in
particolare si sforzò nel tentativo di agganciarle ai moti
intellettuali ed eruditi che si stavano manifestando in Italia. Per
questo, pur continuando ad alimentare il colloquio con i vari
Bacchini, Magliabechi, Cartari e pur intrattenendo cordialissimi
contatti con diverse importanti Accademie, il frate si
obbligò con crescente impegno a concentrare in un unicum le
non organizzate forze di diversi letterati ventimigliesi.
Entrando nei dettagli si possono qui addirittura elencare alcune di
siffatte, poliedriche, iniziative promozionali del nuovo ed
ambizioso bibliotecario intemelio.
A riguardo dell'Aprosiana, nei "Fiori Poetici", a p. 192, Gandolfo
stesso si riconobbe, scrivendo in terza persona, le seguenti
operazioni: " ...lha adornata nelle scanzie e nela tavola di mezzo
e lha accresciuta di molti libri, in particolare di più di
50... " (ma questo lo scriveva nel 1682 e vi sarebbe ufficialmente
rimasto come bibliotecario ancora per diversi anni, con
l'assimilazione quindi di parecchi altri volumi freschi di stampa
od anche di notevole rarità).
Il rammentare qui siffatta autocitazione non vuol per nulla
alimentare l'idea che i suoi meriti siano stati disconosciuti dai
concittadini e in particolare dagli eruditi locali: basti qui
ricordare Gio. Paolo Fenoglio che, in relazione al valore del
Gandolfo, scrisse ("Elogium epitalamicum in nuptiis...", Niciae,
Romeri, 1687, p. 16) " Insignis illa Bibliotheca Aprosiana nunc a
perspicacissimo Gandolfo illustrata, tot voluminibus referta ut
saeculorum opus videatur et iure merito litterarum Oceanus ac
mirandum Minervae Theatrum possit appellari ".
Per quanto invece concerneva la sua ferrea
volontà di non perdere i contatti con gli antichi
corispondenti dell'Aprosio fa particolare fede, fra altri segnali e
testimoni culturali, una lettera dell'erudito G. B. Pacichelli
(già in contatto epistolare con l'Aprosio: cfr. MS. E. VI. 9
in B. U. G.; 3 lettere a. 1678-79) che scrisse al Gandolfo da
Napoli (1/VIII/I687): " Non si può che magnificar dencomi
la penna ed il genio suo i quali sembran di far risorgere su le
carte gli spiriti del P. Maestro Angelico Aprosio di lei
compatriota (come fu anche registrato dallo stesso Gandolfo nella
sua "Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis
scriptoribus...", Romae, typis Buagni, 1704, p. 394) ".
Gandolfo dovette però superare qualche propria titubanza e
le altrui diffidenze iniziali per riannodare alcuni vecchi contatti
dell'Aprosio: le lettere di G. F. Ruota (Roma, 17/V/1687) e di
Carlo Cartari (Roma, 24/IV|I689) pubblicate dal nuovo bibliotecario
in una sua opera di varia erudizione ("Dispaccio Istorico, curioso
et erudito", Mondovì, per il Veglia, 1695 p. 110 e 102-105)
sono per l'appunto la prova estrema di un lavoro anche asfissiante
di persuasione e di valorizzazione, sì che che i dotti
lontani non pensassero che, dopo la scomparsa del fondatore,
l'Aprosiana avesse iniziato un lento degrado o non avesse invece
-cosa di cui molto spesso si convincevano dopo pochi contatti
epistolari- un nuovo "custode" all'altezza delle molteplici
esigenze culturali dell'istituzione e del suo continuo bisogno di
aggiornamento [per un riscontro dei corrispondenti dell'Aprosio
divenuti in seguito fruttuosi interlocutori del Gandolfo
costituisce tuttora una fondamentale base di ricerca il lavoro di
Antonia Ida Fontana, "Epistolario e indice dei corrispondenti del
padre Angelico Aprosio" in " Accademie e Biblioteche dItalia ",
anno XLII (I974), n. 45].
Invece, a proposito delle relazioni erudite e culturali che il
Gandolfo prese ad alimentare con crescente passione in una
Ventimiglia, di cui aveva già segnalato, ma non con siffatti
approfondimenti, un risveglio culturale editando "Il Beneficato
beneficante, ombreggiato nella città di Ventimiglia"
(Genova, per il Franchelli, 1683, p. 25), bisogna anche menzionare
la concomitanza di precise e favorevoli contingenze
intellettuali.
A prescindere del potenziamento dell'Aprosiana (ormai patrocinato
direttamente dallo stesso Ordine agostiniano), la più
importante di tali promozioni culturali fu realizzata col
contributo della " Signora Devota Maria Orengo " che nel 1686
lasciò una cospicua somma per l'allestimento di un centro di
studio e l'istituzione di cattedre " di Grammatica e belle lettere
"; l'iniziativa, la sua realizzazione e, naturalmente, la donatrice
furono celebrate da un intimo del Gandolfo, il poeta nizzardo ma
residente a Mentone Giovanni Francesco Martini, nell'ode "Studia
literarum excitata", Nizza, per il Romero, I686: la notazione non
è priva di valore culturale, il fatto che un erudito non
ventimigliese sia intervenuto a celebrare la benefattrice è
un'altra prova dei vivaci contatti di letterati di altre
città e ambienti culturali, non solo del genovesato, con la
temperie intellettuale esorcizzata in Ventimiglia dal fiorire di
iniziative di contorno a quelle, importantissime, alimentate presso
la biblioteca istituita dall'Aprosio.
Un contributo fondamentale alla conoscenza della cultura ligure
occidentale coeva (e contestualmente alle sue interazioni con i
fermenti culturali del basso Piemonte, delle Alpi Marittime e
soprattutto del territorio compreso tra Nizza e Monaco-Mentone), il
Gandolfo lo ha lasciato manoscritto, annotando e correggendo in
diversi punti una copia dell'Oldoini ora conservata all'Aprosiana
con questa segnatura: " OLDOINUS AUGUSTINUS, Atenaeum ligusticum,
Perusiae, Ex typographia episcopali", I680, 8° (cm. 20,5), pp.
[2], 20, 623, [4], inv. 2130, coll. I, 4, 20, 4, 20 ".
La silloge sugli scrittori liguri riporta sul frontespizio
lautografo: " Ad usum fratris Dominici Antonii Gandulphi
Augustiniani Vintimiliensis qui emit Romae 1698... Iuliis sex ":
molte valutazioni del testo a stampa sono modificate spesso con la
citazione " error... (correzione) ... sic Dominicus Gandulphus "
(vedi la chiosa di p. 85).
In tutto si tratta di 27 osservazioni di diverso spazio e valore
nel testo, 30 correzioni nell"Index Patriae" (p. 571-623): in fine
dellopera si individuano quattro pagine manoscritte, ognuna
resecata su due colonne: p. A, B. C, D, E, F. G.
La p. A intitolata "Scriptores Ligures Augustiniani" registra 34
correzioni cui seguono 8 in p. B con indicazione della pagina del
testo dellOldoini in cui sono trattati i personaggi che riguardano
siffatte correzioni e dove peraltro il Gandolfo con segno critico
od opportuno lemma ha già provveduto a segnalare la svista
bio-bibliografica.
Ancora nella p. B si legge poi l intestazione " Deficiunt in hoc
Athenaeo sequentes " cui seguono notazioni biobibliografiche, del
tutto simili a quelle usate dallo stesso Oldoini, di 23 scrittori
liguri individuati dal Gandolfo ma ignoti allautore della silloge
(si tratta naturalmente di un notevole campo di indagine, anche
molto settoriale, al cui studio si devono qui necessariamente
rimandare gli specialisti, volta per volta, interessati).
Le p. E, F, G presentano tracce di usura e grafia corsiva poco
chiara: per questo mio studio valga comunque la segnalazione che a
Ventimiglia risultano ascritti 26 letterati di epoche diverse
contro i 17 citati dallOldoini (quando nel prosieguo di questo
lavoro mi servirò dellopera dellOldoini su cui è
intervenuto criticamente il frate userò la denominazione di
"Oldoini corretto").
Il Gandolfo ebbe forse da sempre labitudine di registrare quei
letterati liguri, agostiniani e non, di cui avesse conoscenza e che
non fossero trattati o fossero trattati erroneamente nelle sillogi
di Soprani, Giustiniani e Oldoini. Anche in dipendenza di questa
consuetudine maturò la volontà di redigere repertori
organici (per tematiche, sezioni, ordini ecc.) e, con molta
probabilità, il disegno di un catalogo esaustivo sugli
scrittori liguri.
Oltre a svariate comunicazioni, nei "Fiori Poetici" ( pp. 46-61 e
pp. 221-249) ne "Il Dispaccio Istorico, curioso et erudito...",
Mondovì, Veglia, 1695, (pp. 122-133) pubblicò molto
materiale inedito dellAprosio, sullAprosio e su vari letterati
liguri che fiorirono poco prima di lui o sulla sua scia crebbero in
fama e dignità letteraria.
Nellopera seriore, ancora di carattere erudito ma organizzata con
una specificità ed una scientificità ignota ai
precedenti suoi lavori, la "Dissertatio historica de ducentis
celeberrimis augustinianis sciptoribus...", Romae, typis Buagni,
1704 a p. 396 compare quindi la precisazione di voler trattare due
letterati liguri dimenticati o mal curati nei cataloghi dellepoca:
Ludovico Spinola e il matematico ventimigliese Ambrogio
Galleani.
Seguono poi ("Oldoini corretto", p. 397-98) due saggi estratti da
un manoscritto del Gandolfo già annunciato di imminente
pubblicazione ("Ibidem", p. 395): "Li splendori liguri svelati
dalla penna del P. Fra Domenico Antonio Gandolfo... "(il
sottotitolo, impressionantemente lungo, riporta i 12 capitoli in
cui lopera avrebbe dovuto essere divisa, per trattare gli aspetti
storico-culturali più significativi della Liguria).
Il Rossi ("Storia della città di Ventimiglia" ,cit., p. 228)
considera lopera rimasta inedita e poi persa; il Perini
("Bibliographia Augustiniana - cum notis biographicis - scriptores
itali", Firenze, 1931, II, pp. 94-95) la giudica conservata
manoscritta allAprosiana: linedito non si trova ora in questa
biblioteca e nemmeno presso lUniversitaria di Genova dove potrebbe
essere affluito dopo loperazione tardosettecentesca del Semini che
trasportò a Genova, in previsione di unistituenda
biblioteca nazionale, molto materiale dellAprosiana (S. LEONE
VATTA, "L'intellettuale Angelico e la sua biblioteca" in
"L'Aprosiana di Ventimiglia, una biblioteca pubblica del seicento",
a cura di S. Leone-Vatta, Ventimiglia, Civica Biblioteca Aprosiana,
1681, p. 22).
Nel parmense "Giornale de' letterati" del 1686 (pp. 149-50) si
avvisarono i lettori della pubblicazione di unaltra opera di
argomento ligure del Gandolfo: "II valore splendido e generoso
palesato nell'insigne Capitano e Eroe del nostro secolo Gio.
Francesco Serra + 4 " lettere curiose e erudite". Tale opera,
giudicata persa dal Rossi si conserva nella genovese raccolta
Durazzo in qualità di manoscritto (A.III.I2) non autografo
ma fittamente corretto dall'autore (c. V + 94, mm. 217 X 146): cfr.
D. PUNCUH, "I manoscritti della raccolta Durazzo", Genova, Sagep,
1979, pp. 100- 101, n. 31.
Il titolo, per esteso, è (c. 2 recto): "Al valore splendido
e generoso pubblicato nellinsigne capitano del nostro secolo Gio.
Francesco Serra, marchese dell Almandreletto e di Strevi, signore
dello stato di Cassano, Civita, Francavilla, Orria, gentilhuomo
della camera del Re Cattolico, del suo consiglio segretario, mastro
di campo generale e governatore dell armi dello stato di Milano e
Catalogna, di fra Domenico Antonio Gandolfo di Ventimiglia,
agostiniano, graduato in teologia, predicatore generale e priore
pour la seconda volta del suo monastero e questo con la scorta
della vita ms. del suddetto marchese che si conserva nella
Biblioteca Aprosiana e daltri celebri storici del nostro secolo,
allillustrissimi et eccellentissimi signori Marchesi Giuseppe e
Francesco, dignissimi figli dello stesso" (acquistato però e
quindi portato via dall'Aprosiana da Giacomo Filippo Durazzo nel
1801 per una lira genovese: Archivio Durazzo, conto n. 95 del
30/XII/I801).
L'incipit detta: " Nellemporio de Liguri, dico nella città
di Genova... ": parte dell'opera fu però pubblicata dal
Gandolfo nella lettera VI del "Dispaccio" dal titolo: "Il valore
splendido e generoso palesato dallinsigne Eroe e Capitano del
nostro secolo Gio. Francesco Serra Marchese dellAlmandraletto e di
Strevi ecc., Maestro di Campo generale e Governatore dellArmi
dello Stato di Milano e Catalogna allIllustrissimo Signore e
Patron mio Colendissimo il Sig. Conte D. Filippo Serra dignissimo
nipote dello stesso".
L'incipit è: "Essendomi riportato a riverire lIllustrissima
Signora Giovanna Spinola... "; ma a p. 42 (linea 12) leggesi in
capoverso: " NellEmporio de Liguri, dico nella città di
Genova... " e di seguito sino a linea 3 di p. 48; poi alle linee
4-5, si trova scritto: " E tralasciando il resto, che mi riservo a
miglior congiontura esponere assieme... " (Genova 15/IX/1694).
Le quattro lettere annunciate dal Bacchini corrispondono poi ad
altrettante tematiche pubblicate, sotto forma di epistole
progressivamente numerate, nel Dispaccio (" notizie su Ventimiglia
", = lettera II; " commento su un sonetto enigmatico " = lettera
XV; "scritti sul Magliabechi" = lettera VIII (in qualche modo
continuata nella XXII); " alcuni splendori dellordine agostiniano
" = lettera XXIV).
Da questi ed altri testimoni è facile ricostruire come il
Gandolfo abbia raccolto, per tutta la sua vita intellettuale,
materiale polivalente sulla civiltà e cultura ligure,
soprattutto ponentina.
Egli doveva aver progettata un'ambiziosa Summa della
ligusticità, ideabile se non ideata sotto il vasto ed
onnicomprensivo titolo de "Li splendori liguri..." (mai realizzati
però e del resto la nota della "Dissertatio" è del
1704 mentre il lavoro risultava ancora in fieri: sicuramente la
morte colse il Gandolfo troppo presto, nel 1707, per aver egli dato
una stesura definitiva al suo progetto e soprattutto per essersi
garantita, cosa che sempre gli giunse improba, la copertura
finanziaria per la stampa di un'opera tanto macchinosa).
E' tuttavia pensabile che egli abbia lasciato un numero di inediti
od incompiuti inferiore a quelli giudicati dal Rossi: come visto
aveva infatti l'abitudine di impiegare all'interno di contributi
più settoriali, e comunque di natura erudita e storica,
quali il "Dispaccio" o la "Dissertatio" sequenze narrative
teoricamente strutturate per interventi diversi, come per esempio
quello sulla cultura ligure o sul Serra, ma che, secondo sue
riflessioni, riteneva giusto anticipare ai lettori.
Per</3> approfondire ancora l'argomento sui letterati
dell'occidente ligure del XVII secolo si può affermare che
il Gandolfo ebbe rapporti particolarmente cordiali con Paolo
Agostino Orengo che nel Dispaccio p. 114 definisce "...dotto e
amorevole mio amico... > oltre, naturalmente, che con lAprosio
cui, prima di entrare in convento, tra laltro propose un suo
lascito a favore della " Libraria ", ricevendone però un
cortese diniego e linvito a donare piuttosto alla Chiesa
(Fiori..., cit., p. 189).
Il Gandolfo doveva avere anche una certa dimestichezza con Giovanni
Girolamo Lanteri, di lui più anziano e in qualche modo non
gradito allAprosio. Su questo personaggio a parte le citazioni
consuete sparse nelle sue opere -è difficile dire se per una
sorta di parziale riguardo verso il proprio maestro- non ci ha
lasciato però notizie significative o in qualche modo
interessanti: mediamente si è limitato a fare rapido cenno
agli autori che ne parlarono nelle loro opere, in particolare il
Soprani ("Li scrittori della Liguria...", Genova, per Pietro
Giovanni Calenzani, 1667, p. 163), che lo giudicò autore di
"Sonetti nell'Idioma della Patria" (vedi nota 13), Michele
Giustiniani ("Gli scrittori liguri", Roma, per il Tinassi, 1667, p.
384) e lo stesso Oldoini (vedi qui "Oldoini corretto", p.351).
Come già si è scritto, comunque, non doveva il
Lanteri, schivo ed avverso a molte novità dei tempi, essere
un personaggio in sintonia con il Gandolfo, amante, al pari
dAprosio, delle più svariate e moderne esperimentazioni
culturali: e del resto il Giustiniani (rammentandoci che nel 1667
costui aveva circa 72 anni [era quindi di 12 anni più
anziano dello stesso Aprosio], che molto aveva viaggiato e
altrettanto corrisposto con numerosi eruditi italiani, che in
particolare era ottimo conoscitore della lingua spagnola,
portoghese e francese) aggiunse un giudizio abbastanza decettivo,
in cui le lodi risultano presto sormontate e quasi soffocate da una
chiusa inquietante, soprattutto a riguardo del carattere di tale
personaggio: " ... Egli insomma è un uomo raro, ma freddo
non meno delle nevi del Caucaso e più che irresoluto nelle
proprie operazioni. E se col mezzo della sua penna averebbe potuto
rischiarare le tenebre oscurissime delle antichità della
patria, ad ogni maggior segno non è stato poco il poterne
cavare un "Discorso dellAntichità di Ventimiglia"
["Discorso o Relazione delle patrie antichità" secondo
l'Oldoini] ".
Loperetta godette di uneccellente divulgazione sotto la specie di
copie manoscritte e, contestualmente, di buona fama; denotava
però dei limiti tecnici e lAprosio ("La Biblioteca
Aprosiana...", cit. p. 258) ne corresse giustamente alcune
affermazioni sulla topografia dellantica "Albintimilium"
("Ibidem", p. 74).
Di questo lavoro del Lanteri (che pure godeva di buon nome anche
fuori di Ventimiglia e che soprattutto fu accreditato informatore
dellUghelli, relativamente allarea intemelia, per l"Italia
Sacra" ), sorprendentemente non sembrava essere stato assimilato
dallAprosio o dal Gandolfo alcun esemplare nella biblioteca.
Dopo non poche investigazioni ho individuato una copia, di mediocre
qualità, nella "Biblioteca Girolamo Rossi VI, Miscellanea
storica ligure, 83, a ", dellIst. Internazionale di Studi Liguri
di Bordighera, dove si legge sul fronte di un confusionario ma non
inutile resoconto storico su "Ventimiglia dalle origini al pieno
'600": " sono le memorie copiate da Geronimo Lanteri nel XVII
secolo " (mano del Rossi; testo secentesco senza indicatori: del
Lanteri, della sua attività di storico, dei suoi contrasti
con lAprosio e della sua ideale funzione di padre spirituale (in
modo diverso, ma in reciproca e scomoda compagnia con lAprosio)
delle " Atene ventimigliesi del XVII secolo " ho parlato
dettagliatamente nella conferenza tenuta a Ventimiglia il 9/II/1984
nel quadro delle iniziative culturali promosse dalla "Cumpagnia d'i
Ventemigliusi" di cui si può leggere la mia breve sintesi
omonima Fermenti letterari nella Ventimiglia barocca di fine
diciassettesimo secolo in " La Voce Intemelia ", 1984,
23/II/1984).
Traccia sicura di convergenze operative tra letterati dellarea
intemelia, del nizzardo e del basso Piemonte è invece
chiaramente stampata in "Dispaccio" pp. 22-30.
Ad una lettera del Gandolfo (datata Ventimiglia 25/IV/1692) al
marchese Felice Spinola in cui si trattano le gesta, nella
battaglia di Buda (lettera III), del barone Michele dAste, del
marchese Gio. Domenico Spinola e del marchese Gio. Battista Doria
seguono a guisa di appendice e di cornice accademica, tre epigrammi
latini; sono dedicati alitre personaggi secondo lordine suesposto:
il primo è di Paolo Agostino Orengo, il secondo del Corvesi
(poeta ed erudito di Sospello che tuttavia che si qualifica " in
Civitate Vintimilii Humaniorum Litterarum Magister "), il terzo di
Gio. Paolo Fenoglio.
Tra i letterati più attivi nel gruppo ventimigliese di fine
seicento, con rigore menzionati dal Gandolfo nellOldoini corretto
quanto nelle sue altre opere di varia erudizione, si possono
comunque riconoscere numerose altre personalità.
Gli eruditi a nome de Lorenzi furono due: Antonio Francesco, uomo
di discreti interessi intellettuali ("La Biblioteca Aprosiana" p.
486) e Giacomo Antonio successore del Gandolfo allAprosiana
("Leone-Vatta cit.", p. 23) cui probabilmente sono da ascrivere le
"Pandette della Biblioteca Aprosiana del 1714" segnate in " note
Orengo ", sorta di abbozzo (attualmente irreperibile) di catalogo
novecentesco dellillustre bibliotecario, come MS. 76).
Ho poi individuato ancora nella "Biblioteca Rossi", dellIstituto
Internazionale di Studi Liguri di Bordighera, un "Libro di
cansonette, sonetti e madrigalli", manoscritto cartaceo di fine
XVII secolo, in 16°, fogli numerati 38, mutilo: su numerose
pagine compare la firma di un de Laurentiis (impossibile tuttavia
riconoscere a quale titolo).
Le poesie hanno strutturazione tardo-secentesca e modulazione
altalenante dallamoroso (per esempio il sonetto "Amante fedele" di
p. 24) a tematiche apparentemente scherzose che si caricano
però spesso di dissertazioni sulla brevità o
futilità della vita umana secondo unimpostazione, peraltro
cara allultimo Aprosio, di importanti poeti tardo barocchi quali
un Artale od un Lubrano: caso emblematico di poesia lubrica che
veicola in definitiva vere e proprie meditazioni è per
esempio il sonetto di p. 32 dal titolo "Orologio solare in un muro
d'un Cacatoio" che merita di essere proposto quantomeno per l
effetto cromatico di immagini solo apparentemente volgari che,
abbastanza gradevolmente, si trasformano invece in pensamenti
seriosi:
"Orologio Solare in un muro d'un Cacatoio / Sonetto
Perché bene del tempo io spenda l'hore
Inargentato stral quivi le segna
E posto in questo posto egli m'insegna
Che il tempo speso mal dà mal odore.
Tutto il tempo ch'io passo al Cacatore
Temo ognor il mal che non mi venga
Perché so ch'ogni cosa abenché degna
Al par d'una Cacata nasce e more.
Quivi il Sol mi chiarisce e vol ch'io veggia
Che l'huom che va con sì superbo aspetto
Qual ombra nello sterco erra e passeggia.
Che al tempo corruttor tutto è soggetto
E ch'al tirar dell'ultima correggia
Ogni cosa mortal non vale un [testo mutilo di una parola]"
Due furono anche gli eruditi di cognome Orengo: Paolo Agostino (in
questo saggio citato già più volte) e Gio. Angelo (di
Gio. Batta e Vittoria Casanata: G. ROSSI, "Storia..., cit.", p.
271): furono in stretti rapporti culturali con questi il
medico-letterato G. P. Fenoglio (cfr. "Oldoini corretto", p. 575 e
G. ROSSI, "Storia..., cit.", p, 271) e il sacerdote di Dolceacqua
Giuseppe Maccario, uomo di buona cultura e non solo teologica, di
cui rimane "II Presagio. Discorso sacro all'ill.mo e rev.mo Sig.
Monsig. D. Gio. Girolamo Naselli, Vescovo di Ventimiglia dal
dottore D. Giuseppe Macario di Dolc'Acqua", Nizza, per il Romero,
1685.
Il colto vescovo Naselli (1685-1695) fu propugnatore delle
iniziative culturali del Gandolfo (G. ROSSI, " Storia..., cit.", p.
242) e portò a Ventimiglia, nellaprile del 1690 il celebre
Paolo Segneri a tenere le sue prediche (Id., in " San Remo ",
11/VII/1866: in questo articolo il Rossi pubblicò una
lettera del Naselli a questo proposito).
I dotti ventimigliesi risentirono più positivamente di
quanto in genere si sia pensato dellinflusso del Gandolfo che, in
maniera maggiore e decisamente più organica di Angelico
Aprosio, seppur non senza fatica ("Dispaccio..., cit.", p. 114-15),
si impegnò nel rinsaldare questa piccola falange di eruditi,
mediamente divisa in microfazioni da futili e minuscole gelosie, e
, per qualificarne ulteriormente tanto lesistere quanto la valenza
culturale, la innestò, quasi fosse un continuum ideale, sul
tronco di quella locale ed antica tradizione culturale che egli
andava rivisitando con accuratezza e rigore sempre più
scientifico.
Per questa visione volutamente campanilistica delle cose, che gli
conferiva con tutti i suoi limiti la potenzialità di
battezzare Ventimiglia come luogo poeticamente amoenus e quindi
dignitoso per ospitare le meditazioni pseudoclassiche dellotium
negotiosum, il Gandolfo si garantì lopportunità di
riscattare alla città, e più estesamente a tutto
lestremo ponente, quei letterati che, in tempi anche remoti,
vennero ascritti erroneamente ad altre aree dagli estensori delle
diverse sillogi sui liguri (ed altri ignoti, come già visto,
curò di riproporre allattenzione del mondo letterario): il
dotto teologo del XV secolo Battista de Giudici ("Oldoini corretto"
p. 85), Marco Antonio Orengo che nel 1630 scrisse sulle pestilenze
("Ibidem" p. 415 e 575), Vincenzo Lanteri (rivendicato di nascita
contro lOldoini, che lo ritenne ingauno, a Ventimiglia: già
arcivescovo di Ragusa e poi di Veroli costui fu un illustre autore
di testi teologici) , lo sconosciuto predicatore di Camporosso
Pasquale Berta ("Oldoini corretto" p. B e D) e gli egualmente
ignoti eruditi Giovanni Battista Cotta ("Ibidem" p. C) e Arcangelo
Davio di Tenda ("Ibidem", già nei "Fiori" p. 14).
Proprio perché più municipalista del predecessore il
Gandolfo finisce oggi con lessere a volte più utile, per
riconoscere alcuni fenomeni culturali del ventimigliese, di quanto
possa esserlo il fondatore dellAprosiana.
Il Gandolfo soprattutto a lungo e utilmente parlò di Paolo
Agostino Aprosio autore dell"Opera morale de' sette peccati
mortali trionfati dalle Virtù opposte", Genova, per il
Franchelli, 1674 ("Fiori Poetici...", cit., p. 241), dellerudito
Carlo Speroni ("Oldoini corretto" p. 575), di Filippo Aicardi di
Camporosso autore de la "Scuola della salute cioè istruzione
del vero cristiano", Genova, per il Guasco, 1654 ("Ibidem", p.
604). In particolare pare sintomatico il giudizio sullo Speroni:
mentre il Gandolfo lo volle ventimigliese, lAprosio lo
giudicò " nobile genovese originario di Ventimiglia" e fu
tra laltro più corretto per quanto meno campanilistico ("La
Biblioteca Aprosiana ...", cit., p. 592).
In numerosi testi del fondo storico, in " Miscellanea ligure "
(arm. 13) dellAprosiana compaiono alcuni emblematici segni critici
del Gandolfo (e forse di altre mani coeve ma non dellAprosio):
sono prove di ripetuti controlli biblioteconomici e più di
una volta celano, anche con una certa fragilità critica, il
tentativo di ricondurre allarea ligure occidentale lorigine di
alcuni letterati del passato remoto e dai connotati tuttora
alquanto imprecisabili .
A questo punto stupisce quindi che a questo ostinato e talora
pedante restauratore delle glorie letterarie cittadine siano
sfuggiti due personaggi come Cristoforo de Giudici e Gio. Stefano
Speroni, ventimigliesi, di cui certamente alla sua epoca
circolavano, manoscritti, saggi poetici.
Nella plurimenzionata " Biblioteca Rossi " individuai "Giornata
Amoroza per Cristofaro Giudice Ligure Vintimiglieze" (in " IV,
manoscritti di storia genovese e ligure, 67 ") manoscritto cartaceo
originale del XVI secolo, in 6°, fogli non numerati; legato di
recente con Prudente e accorta conversatione con glaltri principi
con che si acquisti la gracia loro e perfettione di se stesso
operetta politica scritta a Ventimiglia dal dott. Gio. Stefano
Speroni e con prefazione datata al 1617: in 16°, fogli numerati
204.
Col gruppo culturale intemelio ebbero peraltro fruttuosi contatti
eruditi del nizzardo come il poeta Giovanni Francesco Martini e
lepigrammatista Pietro Andrea Trinchieri ("Oldoini corretto",
p.463-64) e di Sospello come Pietro Corvesi ("Ibidem", p. 458);
questa testimonianza non è senza significato, attesta semmai
la vetustà di una radicata tradizione di rapporti culturali
oscillanti tra il Basso Piemonte, Nizza, Sospello e la costa
ligure: precisando, e sembra davvero il caso, che al lemma
"cultura", naturalmente in relazione alla diversità delle
indagini, si possono attribuire tranquillamente tutte le valenze
possibili, comprese fra gli estremi, non obbligatoriamente
contraddittori, di "cultura colta" e di "folklore").
Spesso, per una tradizione che affonda nella notte dei tempi,
cultura e tradizione nel Ponente ligure si sono più
pacificamente intrecciate con le consimili esperienze dambiente
sabaudo che con quelle propriamente genovesi: specialmente nel
Capitanato di Ventimiglia, al confine del Dominio di Terraferma, la
presenza della Repubblica si ostentò spesso con arroganza e,
soprattutto, con unassoluta incapacità di ben governare
sì che lo spirito popolare, quasi procedendo di conserto con
le esternazioni di una certa intellettualità sempre
più ingelosita dallindifferenza del pubblico potere,
finì per identificarsi apertamente con usi e costumi
delloltregiogo.
In chiave squisitamente letteraria e storiografica nemmeno pare un
caso che il gesuita Teofilo Rainaldi di Sospello, relativamente
intimo del ventimigliese Girolamo Lanteri, funse da appassionato
intermediario -in una geografia religiosa che, peraltro con
giustezza, preannunciava gli stretti legami dellantica
religiosità ligure occidentale con quella pedemontana- per i
già menzionati contatti dello storiografo intemelio con l
abate Ferdinando Ughelli (vedi: F. A. DELLA CHIESA, "Catalogo de
scrittori piemontesi, savoiardi e nizzardi...", Carmagnola, per il
Colonna, 1660, p. 259-64).
In una lettera da Chiavari, del 2/IV/1692 ("Dispaccio...", cit., p.
92-96), il Gandolfo si qualificò poi come arbitro
allinterno di una disputa poetica tra lerudito di Dolceacqua
Giuseppe Maccario e un innominato dotto monegasco: contestualmente
si andava affermando il modesto ma fecondo e comodo stampatore
nizzardo Giovanni Romero che evitò, in molti casi, la
necessità di rivolgersi a stamperie situate in
località assai lontane: ho individuato nellAprosiana 18
titoli di volumi usciti da questa stamperia tra gli anni
1685-87.
La buona fortuna del Romero è unaltra prova della
vivacità culturale che si manifestò nel Ponente
ligure verso la fine del seicento: il successo di questa stamperia
è altresì testimonianza degli stretti collegamenti
tra autori di ambiente nizzardo e ligure occidentale che, se nel
tipografo avevano scoperto un naturale referente per editare con
relativa comodità le loro opere, nella biblioteca istituita
dallAprosio ed ora governata dal Gandolfo da tempo trovavano
oramai un comune ed importante punto di riferimento culturale,
tanto significativo da travalicare, sotto il profilo intellettuale
e morale, la modestia di artificiosi confini politici per nulla
corrispondenti allo spirito di collaborazione e anche di arguta
competizione (ed al riguardo si valuti con la dovuta comprensione,
specie in merito a questepoca pregna di soggioganti conformismi,
limprevedibile liberalità e la sorprendente apertura
intellettuale, non certo consueta in altre contrade dItalia, che
sulla linea di confini , già oggetto di due contese belliche
tra Genova e Piemonte nel 1625 e nel 1672, finisce per eleggere il
"suddito genovese" Gandolfo a "giudice assoluto di una disputa
letteraria" venutasi allora a creare tra un monegasco, cioè
uno "straniero in qualche modo asservito ai forti ma imprevedibili
Grimaldi", e, peggio ancora!, un "erudito suddito dei Doria di
Dolceacqua", col passar degli anni sempre "meno genovesi" e "sempre
più legati ai Savoia", comunque costantemente impegnati in
un ambiguo barcamenarsi che cesserà solo con Napoleone).
Non ho invece reperito pubblicazioni di natura accademica, prodotte
da questi ventimigliesi o comunque da porre apertamente in
relazione con lattivismo intellettuale gandolfiano.
Compaiono invece interessanti esercitazioni accademiche nel MS. 40
dellAprosiana.
Data però lartificiosità di questa miscellanea,
può trattarsi di scritti di diversa provenienza: raccolti
magari dal Gandolfo stesso per le sue documentazioni oppure inviati
alla biblioteca da aderenti ad altre Accademie od ancora frutto di
casuali esercitazioni poetiche raccolti plausibilmente tra fine
600 e primi del 700 anche dal terzo bibliotecario dellAprosiana,
il De Lorenzi.
Dagli indicatori e dal contesto paiono operazioni culturali di fine
XVII e pieno XVIII secolo: (1) c. 63-64 (mm. 270 X 207) ode di
contenuto religioso, "Che si deve piangere da Cristiani per la
morte di Cristo", del tipo metrico abBaCC (settenari alternati a
endecasillabi): autore pare leggersi " D. Semini " e poi,
sicuramente, " l'accademico Dubbioso "; (2) c. 61-62 (mm. 270 x
203) "Riflessioni di Pasquino fatte sopra l'elezione del futuro
Pontefice" con veste metrica di terzine incatenate di endecasillabi
(del tipo ABABCB): è da datarsi posteriormente al 1676 in
quanto, dal contesto, risulta da connettersi alla disputa sorta
sullelezione del Pontefice dopo la morte di Clemente X (Emilio
Altieri); (3) c. 67-70 (mm. 275 x 203) "Appendice fatto
dall'Accademico Curioso al Discorso intitolato la Giostra Papale
dei Cardinali che aspirano al Papato nel Conclave di Alessandro
ottavo": databile dal contesto Roma 1691 ha i connotati di una
riqualificazione di alcuni cardinali papabili: Cybo, Barberini,
Barberigo, Marescotti (in particolare, già gradito al
Gandolfo come si legge in "Dispaccio...", cit., p. 81),
inidentificabile lautore.
Nel MS. 40 bis ho rinvenuto alcuni fogli di esercizi letterari e
poesie latine di finalità religiose; ho trovato però
una lettera (c. 12 recto e verso - mm. 220 x 152) datata
Ventimiglia 8/X/1676 di Gio. Maria Fenoglio indirizzata al "
Molto... G. Maccario... Dol... " (consigli su studi legali) sul cui
verso mano diversa aveva vergato in due stesure, minuta e
definitiva, il madrigale " Nocchier ch'in l'onda egea " e esercizi
anagrammatici-encomiastici, di scuola del Minozzi, sulla base
linguistica Innocentius "Undecimus Pontifex Odescalcus" (Benedetto
Odescalchi, papa dal 1676 al 1689): 6
variazioni-anagrammatiche.
Dalla grafia sospetta e dal contenuto profano del madrigale lo
ritenni esercizio accademico: loperazione linguistica
dellanagramma, comune per il Gandolfo ("Fiori Poetici...", cit.,
pp. 195-220) e luso di riutilizzare il verso delle lettere mi fece
pensare allagostiniano.
Lunica " Accademia " ufficialmente documentabile a Ventimiglia
è però databile dal 1715, nominata " Il Gabinetto
Accademico ": una sorta di consorteria di religiosi eruditi che
composero e pubblicarono in occasione di particolari eventi
liturgici.
Sorse sotto Giacomo Antonio de Lorenzi, appunto il terzo
bibliotecario dellAprosiana: il Rossi ne segnalò
unoperetta apologetica nei riguardi di S. Caterina dAlessandria
curata (come si firma nellautografo in calce al testo a stampa)
dal Padre G. B. Conradi di Cuneo e intitolata "Il divoto e mistico
problema...", Cuneo, per li Benentini, 1715 (sullo stesso argomento
individuai "Per il solenne e festivo giorno dell'Eroina d'Egitto
Catarina la Santa", stessi dati di luogo e stampa: manifesto a
stampa, dedicato al vescovo ventimigliese Carlo Maria Mascardi, sul
lato inferiore della cornice leggesi lautografo " l'Accademico
Incognito ").
Oltre che prove di contatti con lambiente culturale del basso
Piemonte mi parvero comunque i residui di una vecchia consuetudine
religioso-cultuale che il vescovo Naselli volle a lato delle
attività del Gandolfo, più esclusivamente culturali:
nel 1692, per S. Giovanni Gonzales, si pubblicò "Duplex
virtutum et prodigiorum Zodiacus concinnatus in Ecclesia S.
Augustini albintimiliensi et episcopo Hyeronimo Nasellio dicatus",
Genuae, typis Casamarae, 1692 (G. ROSSI, "Storia...", cit., p.
242).
Eppure il Gandolfo, in conformità alluso dei tempi, aveva,
ben prima di tutti questi labili quanto effimeri sperimentalismi,
ideato di travalicare la dimensione edenica quanto artificiale di
una biblioteca, appunto lAprosiana, che si proponesse quale
artificioso approdo per incontri intellettuali ed erudite
adunanze.
Nonostante la potenza culturale che scaturiva da ogni armadio della
"Libraria", anzi quasi da ogni sua "scansia", essa era pur sempre
un organismo connesso allattivismo di un ordine religioso, appunto
quello agostiniano, che, per quanto nobilmente intellettuale,
secondo il variare di certi equilibri (magari anche soltanto per il
sopraggiungere di un priore ottuso, come era anche avvenuto ai
tempi dellAprosio) poteva decadere celermente o più
probabilmente venir preclusa ad incontri giudicati fin troppo
mondani.
Il Gandolfo ambiva quasi dai primi suoi passi di bibliotecario alla
realizzazione di unAccademia, giustapposta certo allAprosiana sua
naturale fucina culturale e documentaria, ma comunque sottratta
alla geografia, fisica e morale del cenobio, magari realizzata non
lontano, plausibilmente in qualche casa nobiliare sufficientemente
spaziosa della città medievale, sullaltura a ponente del
Roia.
Del resto da buon documentarista non era stato certo inerte, si era
guardato intorno, aveva assistito allo sviluppo, embrionale spesso
ma comunque promettente, di analoghe strutture tra Liguria
occidentale ed area sabauda: peraltro era sicuramente, e con
giustezza critica, convinto che solo unAccademia che esistesse in
simbiosi con un un centro di cultura di portata non solo italiana
come la "Libraria" intemelia fosse in grado di attrarre in unarea
così geograficamente periferica un gran numero di eruditi,
finendo con il far intersecare fruttuosamente le vie, altrimenti
sterili , degli accademici residenti in loco con quelle di lontani
ma importanti "fautori" (quelli peraltro recuperabili dai tanti
suoi corrispondenti ed appassionati fruitori dellAprosiana).
A Taggia, nellimperiese, dove tra laltro si ebbero non isolate
testimonianze di attivismo culturale, il 19 Agosto 1668
nellabitazione del facoltoso Giovanni Stefano Asdente si
inaugurata lAccademia dei Vagabondi (limpresa o stemma era un
sole raggiante): non sappiamo se vi fu ascritto il Gandolfo, ma di
ciò non sussiste traccia documentaria. Lultrassessantenne
Angelico Aprosio ne invece fu il membro più illustre e vi
prese il nome di "Aggirato" ma, oltre alla mezione che ne fa lui
stesso nel frontespizio de "La Biblioteca Aprosiana" non rimasero
tracce di qualche sua significativa partecipazione alle eventuali
adunaze che vi si dovevano tenere: non mi sembra mera illazione
affermare che lanziano e celebre frate potesse soffrire legemonia
esercitata in tale consesso dal poligrafo suo "Principe.",
lavvocato Giovanni Lombardi che, perlatro, si limitò a
produzioni dinteresse locale o lasciate manoscritte, come quei
pochi sonetti che nel XIX secolo individuo lerudito Canonico Lotti
e che restano la sola vera testimonianza intellettuale
delleffimera istituzione.
Girolamo Rossi, in suo saggio parzialmente sopravvalutato ha negato
che esistesse a Sanremo unAccademia degli Affidati: però
nellarea diocesana intemelia dal 1654 fu sicuramente attiva
lAccademia degli Intrecciati di Sospello mentre Mentone e Monaco
produssero letterati di una certa vivacità che operarono
isolatamente sino a quando, nel 1718, confluirono nella locale
Accademia dei Mendichi e, stranamente, in una seconda Accademia,
sorta in Sospello (20 luglio 1702) di contro a quella degli
Intrecciati, col nome degli Occupati.
Come scritto sopra il progetto gandolfiano di unistituzione
accademica in Ventimiglia se era confortato dalla pur stentata
esistenza di siffatti fenomeni accademici non ne doveva certo
portare i difetti insiti: dal provincialismo alla "dittatura"
culturale di un Principe accademico che molto spesso aveva il solo
pregio dessere il solo mecenate se non appena il bizzoso
proprietario dei locali messi a disposizione.
Essendo intelligente e soprattutto dotato di ponderata
ragionevolezza il Gandolfo ideò, come detto in simbiosi
culturale e ideale con la sua grande biblioteca, qualche cosa di
ben più importante e duraturo.
Per questo non agì di getto, meditò a lungo
sullipotesi e soprattutto cercò nei suoi amici eruditi non
solo dei fruitori dellistituzione ma anche dei costruttivi
collaboratori.
Trovò risposte concrete in Camilla Bertelli Martini e
soprattutto in suo figlio Giovanni Francesco Martini che compose,
nel volume di liriche "Studia literarum excitata", Nizza, per il
Romero, 1686, lemblematica "Ode al M. R. P. Maestro Gandolfi
Agostiniano. S'invita il detto Padre ad indrizzare in quella
Città l'Accademia degli Oscuri": a questi significativi
interlocutori saccostò contemporaneamente il poeta nizzardo
Trinchieri che scrisse un carme, edito dal Gandolfo nel suo
"Dispaccio"..., cit., p. 119, in cui si esaltava lidea di erigere
in Ventimiglia unAccademia degli Oscuri.
Altri ancora parteciparono alla progettazione: si dovettero tenere
incontri, discussioni, forse anticipò qualche saggio di
esercitazione accademica: da due lettere ancora pubblicate nel
Dispaccio (coi numeri XX e XXI), una di Gio. Angelo Orengo Casanata
(Roma, 30/VIII/1687) indirizzata al Gandolfo e laltra di questi
allOrengo-Casanata (Ventimiglia 14/IX/1687), apprendiamo che
lidea di istituire unAccademia, favorevolmente discussa e in
più casi caldeggiata con vigore intellettuale, giunse
estremamente prossima ad una concreta realizzazione poco prima
della metà del 1687.
Sul nome ci si mantenne sempre piuttosto fermi e convinti: doveva
essere detta degli Oscuri e la sua impresa sarebbe stata la notte
oscura, con le stelle nel cielo e il motto in obscuritate sydera:
come a dire, capricciosamente, che pure a Ventimiglia esistevano
delle stelle, di certo poetiche.
Si era, come detto assai vicini a finalizzare quello cui non solo
il Gandolfo ma più intellettuali aspiravano, che il tanto
sognato progetto rapidamente naufragò.
Il frate bibliotecario, contro ogni aspettativa, fu però
improvvisamente richiamato altrove, per periodi più o meno
lunghi, onde espletare compiutamente i suoi doveri religiosi e non
relegarsi, come il suo predecessore allAprosiana, nello spazio
della "Libraria", gratificante sotto molti profili ma non certo,
eminentemente almeno, sotto quello apostolico e religioso.
Il Gandolfo non potè quindi dar sostanza al suo sapiente
lavoro di riunione delle energie culturali intemelie e non sotto
legida di unAccademia realmente esistente, nobilitata da un
rapporto simbiotico con uneccelsa biblioteca: ai suoi
collaboratori se non la volontà e limpegno mancavano
purtroppo la personalità, le conoscenze e il carisma per
portare a termine, in sua vece, tale operazione.
LAccademia di conseguenza non vide mai la luce: non esisteva
ancora nel 1704 quando il frate, preoccupato dal fatto che ci si
interrogava a livello di eruditi europei ("Actuum Eruditorum",
Lipsiae, VII, 3, "Supplementorum", p. 300 - 301) sulla mancanza di
notizie a riguardo di tale istituzione, provvide nella
"Dissertatio" (p. 392) alla seguente precisazione: " Non poterat P.
Gandolfus dare notitiam statvs Academiae Obscurorum, quia non erat
adhuc instituta, sed instituenda, ut in epistulis expresse patet.
Nanc quoque initium non sumpsit ob eiusdem Gandolfi; absentiam fere
continuam".
Le assenze cui il Gandolfo fece riferimento erano dovute ai suoi,
sempre piu frequenti, impegni presso il convento genovese di N. S.
della Consolazione: a questo venne definitivamente assegnato dal
1694, come ricaviamo da una sua lettera del 31/VIII/1694 a Battista
Durazzo; la lettera più tarda che documenta una sua
continuativa attività a Ventimiglia risale al 25/VI/1692 ed
è indirizzata al marchese Felice Spinola.
Il Gandolfo dovette gradualmente abbandonare le buone iniziative
che stava curando a Ventimiglia; non interruppe mai il colloquio
coi dotti ventimigliesi, certamente rimase in contatto con
lAprosiana e la provvide di libri, sicuramente ritornò, per
varie ragioni, alla città natale, forse ancora dopo il 1703,
ma non vi concretizzò alcuna Accademia e tantomeno vi
dedusse una Colonia di Arcadi .
Girolamo Rossi, senza curarsi di indicarne il luogo di
conservazione o leventuale fonte, pubblicò invece con molta
enfasi un frammento di diploma, oggi irreperibile, secondo cui, a
suo giudizio, il Custode dellArcadia romana avrebbe autorizzato il
Gandolfo, nominato secondo luso pastorale "Arcanio Gentile" (in
realtà gli fu conferito il nome pastorale in Arcadia di
Arcanio Caraceo) ad istituire una Colonia di Arcadi a
Ventimiglia.
Fu uno svarione dello storico poiché la semplice lettura del
diploma ci fa comprendere che il Crescimbeni e i suoi amici non
autorizzarono con tale documento la deduzione di una Colonia
intemelia ma semplicemente di comun assenso accettarono di
annoverare il ventimigliese tra gli Arcadi: del resto lo stesso
Gandolfo, nel frontespizio della Dissertatio, si qualificò
oltre che come Infecondo di Roma, Fisiocrate di Siena e Apatista di
Firenze anche come Arcade romano.
La morte colse il Gandolfo nel 1707 nel convento agostiniano di
Genzano presso Roma cui era stato assegnato.
DallArcadia del Crescimbeni ("L'Arcadia del Canonico Gio Maria
Crescimbeni Custode della medesima Arcadia di nuovo ampliata e
pubblicata d'ordine della Generale Adunanza degli Arcadi, colla
gionta del Catalogo de' medesimi...", In Roma, Per Antonio de
Rossi alla Piazza di Ceri, 1711, p. 357) si apprende che "Arcanio
Caraceo. Padre Domenico Antonio Gandolfi da Ventimiglia
Agostiniano" fu ascritto tra i membri dellaccademia degli Arcadi
di Roma nel corso di unadunanza tenuta l8-XI-1703.
Nel 1986, dovendo io giustificare per altro tipo di investigazioni
lesistenza del diploma citato dal Rossi nel suo lavoro sulle
"Accademie liguri" lo registrai con molti punti interrogativi,
tenendo anche conto del fatto che il Rossi ne aveva riportato un
frammento, senza alcuna datazione: "Alfesibeo Cario [correttamente
il nome pastorale del Crescimbeni] Custode generale dell'Arcadia ad
Arcanio Gentile e valoroso pastore di Ventimiglia. Avendo noi fatto
a notizia di nostra pastorale Repubblica nella piena Ragunanza
tenutasi il sotto giorno, che voi Arcanio Gentile e valoroso
pastore della culta e deliziosa campagna ventimigliese chiedete
essere annoverato fra i gentilissimi e valorosissimi pastori di
Essa...Noi pertanto, a nome di tutti, vi palesiamo con questo
scritto esser voi stato volentieri e di comun consenso annoverato
fra noi e dichiarato Pastore arcade con tutti gli onori e pesi che
da ciascuno di nostra Ragunanza si portano...".
Alla luce di successive acquisizioni è semplice adesso
ribadire quanto scrissi allora, integrandolo opportunatamente: il
documento citato dal Rossi era veramente lattestato di investitura
del 3 novembre 1703 (chissà per quale via tornato
allAprosiana da Genzano e poi comunque andato perso!) del Gandolfo
ad Arcade romano col nome pastorale di Arcanio (ora ne
"L'Arcadia...", cit., libro V, p. 186 citato semplicemente
così come autore di sillogi critiche di letterati, ora
più specificatamente menzionato per esteso quale "Arcanio
Caraceo" a p. 357).
"Arcanio Gentile" fu una svista del Rossi, tramandata ai posteri me
compreso: larcade "Arcanio Gentile" a differenza di "Arcanio
Caraceo" in un certo qual modo non è neppure mai esistito
per il semplice fatto che tutti gli Arcadi erano definiti dalla
loro "interna burocrazia accademica" "gentili e valorosi" (e quindi
al singolare "gentile e valoroso") quando erano menzionati col solo
e principale nome pastorale. Confondendosi nelluso altalenante di
XVII e XVIII secolo tra iniziali maiuscole e minuscole, il Rossi
(oltre ad errare nella sua ipotesi dellistituzione di una colonia
arcade in Ventimiglia) ritenne "Arcanio Gentile" nominazione
completa e pastorale del Gandolfo, quando doveva invece intendere,
grazie anche a quellindagine paleografica di cui era un esperto,
"Arcanio gentile" cioè "Arcanio [Caraceo (al secolo D. A.
Gandolfo)] gentile e valoroso pastore [cioè "poeta e
letterato"] della culta e deliziosa campagna ventimigliese
[cioè "originario della bella e feconda terra di
Ventimiglia"]...nella piena Ragunanza tenutasi il sotto
giorno....dichiarato Pastore arcade...[cioè "ascritto fra
gli Arcadi di Roma il giorno 8 novembre 1703"]" [nota bene: per le
abbreviazioni delle opere e gli eventuali approfondimenti si
rimanda allarticolo di B. DURANTE, "Biblioteca Aprosiana,
dibattiti eruditi e progettazioni accademiche fra 1650 - 1700", in
"APROSIANA - RIVISTA ANNUALE DI STUDI BAROCCHI", Nuova Serie, Anno
VIII -2000]